„Il mondo non ha bisogno di maestri,quanto piuttosto di testimoni!”(Paolo VI)
Stefano Sandor sdb Salesiano coadiutoreMartire e Beato
Rielaborazione del testo di Don Pierluigi Cameroni: „Stefano Sandor. Martire del Vangelo della gioia”
Ed. Don Bosco Kiadò, 2013.
Rielaborazione di D. Sergio Dall’Antonia SDB Saleziani, Fondazione Don Bosco, Bacău Str, Tazlăului nr. 9 Bacău România Tel.: 0234 / 582.330 Email: sdbbacau@gmail.com
Capitolo 1
Stefano Sandor tra i martiri.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo del comunismo attuato con violenza e sostenuto dal potere bolscevico, apparve una grande schiera di martiri. Furono persone di ogni ceto sociale, le quali nell’Est dell’Europa, nella zona dei Balcani, in molti stati come in Romania, in Ungheria, Polonia, ex Iugoslavia, ecc.…versarono il proprio sangue a causa della fede. Tra questi martiri ricordiamo Stefano Sandor giovane salesiano coadiutore. Egli fu vittima della repressione contro la religione, che scaturì nel tempo del regime comunista in Ungheria e che fu realizzata in un modo chiaramente duro e sanguinoso tra gli anni 1948-1963..
Ma chi era Stefano Sandor?…
Istvan (Stefano) Sandor nacque a Szolnok, città dell’Ungheria a cento chilometri dal sud est di Budapest, il 26 ottobre 1914.
Primogenito dei coniugi Stefan Sandor e Maria Fekete. I suoi fratelli si chiamavano Jànos e Làszlò.Stefano era il più grande dei tre.
Suo padre lavorava come meccanico-calderaio in un grande cantiere di costruzioni meccaniche delle Ferrovie statali. La sua mamma era casalinga.Il papà e la mamma diedero ai loro figli un’educazione profondamente religiosa.
Stefano, frequentate le classi primarie fino all’ottava, s’iscrisse e frequentò le quattro classi dell’Istituto tecnico metallurgico nella sua città natale.Già da piccolo era stimato dai suoi compagni: allegro, generoso, gentile, sorridente e amabile; era gradito a tutti. Benché fosse piccolo di statura, gli piaceva molto il gioco del calcio. I suoi compagni del vicinato gradivano radunarsi insieme a lui ed egli li organizzava per i giochi senza far pesare la sua autorevolezza. Quando erano molto numerosi, s’impegnava ad arbitrare per aiutarli a giocare con rispetto reciproco, secondo il regolamento sportivo.Quanto ai suoi fratelli, Jànos e Làslò, li aiutava a studiare ed anchea pregare: in questo era il primo a dare il buon esempio. E così, in famiglia, come in un santuario domestico, Stefano dirigeva la preghiera sia prima, sia dopo la mensa come anche di sera. Fin da piccolo, aiutava la mamma nelle faccende domestiche. Verso i parenti e i nonni aveva un grande rispetto affettuoso.Qualora i suoi fratelli avessero fatto qualcosa di spiacevole, lui, imitando San Domenico Savio, cercava di coprire le loro piccole marachelle, oppure accettava al posto loro il castigo meritato. Ancor bimbo, si rallegrava di poter partecipare agli incontri dei Piccoli paggi del Cuore di Gesù ed ogni giorno si recava alla Santa Messa per fare il chierichetto nella chiesa dei Francescani, ove, regolarmente, si accostava al Sacramento della Penitenza e faceva la Santa Comunione.
Quando ricevette la Cresima, l’undici maggio 1925, volle aggiungere al suo nome di Stefano quello di Pietro, il santo martire da lui amato e considerato suo modello di vita, volendone imitare l’esempio di saldezza nella fede e nell’ardore apostolico. Chiese inoltre l’iscrizione all’Associazione del Santissimo Nome di Gesù (CRED), nella sezione giovane.
Conoscendo bene i Francescani, e avendo fiducia in loro quali padri spirituali zelanti, volle esser della loro Famiglia, cingendo il cordone del Povero Francesco come terziario francescano.Più tardi, affascinato dalla spiritualità di San Giovanni Bosco e dal suo metodo pedagogico e pastorale orientato alla salvezza integrale dei giovani, si decise di lasciare il lavoro assunto nel settore della metallurgia per entrare come aspirante in un Istituto salesiano. Voleva il consenso dei genitori, ma quelli sul momento non furono d’accordo e non volevano cambiare idea. Docile, come sempre, Stefano piegò il capo e rimase a casa, sicuro che il Signore gli avrebbe preparato una strada favorevole per realizzare il suo sogno a tempo debito. Cominciò così a lavorare in fabbrica prima come tornitore qualificato e poi come fonditore di rame; alla fine trovò lavoro nel Cantiere delle Ferrovie. Nel frattempo però, custodendo il suo desiderio di farsi salesiano, si teneva in relazione epistolare con il Direttore della casa salesiana di Budapest- Răkospalota.
Nella sua relazione epistolare la risposta del Direttore alle sue lettere non giungeva, però, all’indirizzo di casa, dai suoi genitori, per non inquietarli, infatti, essi erano ancora contrari a quella sua scelta vocazionale. La risposta arrivava invece al Monastero dei Francescani. Lì si riceveva la sua corrispondenza e gliela si consegnava. Ancora lì, padre Policarpo Lazlo’ parroco, padre Cazimir Kollăr vicario parrocchiale e il teologo Mihail Vaszari, segretario del Vescovo, in modo cortese, con dignità e con serietà, si prestava generosamente a risolvere le difficoltà che erano sorte tra quel giovane e i suoi genitori. Fu così che, con il tempo, attraverso questi intermediari, Stefano riuscì a ottenere il benestare dei genitori alla sua scelta vocazionale: fu nel mese di febbraio del 1936. Fu allora che Stefano, con incontenibile gioia nell’animo, poté varcare la soglia della Famiglia Salesiana. I Salesiani lo ricevettero nella casa salesiana di Budapest, il Clarisseum.
Fu lì che, in due anni di apprendimento, nella scuola tipografica Don Bosco, poté frequentare i corsi di scuola tecnica tipografica e vivere il tempo dell’aspirandato in due periodi. Nel primo periodo della prova, da febbraio fino al mese di maggio, mentre lavorava come apprendista nella tipografia “Don Bosco”, rivelò le sue doti di volontà, serietà, impegno, senso di religiosità e spirito apostolico; si rese pure d’impareggiabile aiuto al salesiano responsabile della sacrestia. Svolse infine la sua attività, con instancabile laboriosità, nell’Oratorio domenicale.Passati quei tre mesi, in maggio, fece domanda di accedere al Noviziato; ma la sua domanda fu respinta, perché il tempo richiesto di preparazione al Noviziato non era terminato. Era inoltre necessario che completasse la sua preparazione tecnica di tipografo. Il giovane Stefano, di fronte a quel diniego non si sgomentò, ma con serenità angelica accettò la decisione e continuò la prescritta formazione. Iniziò così il suo secondo periodo di aspirandato. Nel mese di marzo del 1938, quando aveva terminato il corso di tipografo ed era divenuto operaio qualificato, rinnovò la domanda per il Noviziato, che fu finalmente accettata. Sandor entrò con vivo entusiasmo in Noviziato.
Un suo compagno, novizio come lui, Màtyàs Székely, diceva: “ In Noviziato, si può affermare che Stefano pregasse continuamente. La sua persona, poi, rivelava un carattere maturo, cordiale, accogliente, sicché si faceva amici tutti”.Quello stesso compagno asseriva che a Stefano fu affidato l’incarico dell’infermeria. Narrò anche che allora capitò un episodio curioso, segno del buon umore di Sandor.Un giorno un loro compagno si era procurato una lussazione che allora si trattava con crusca surriscaldata da mettere sopra la parte malata. Tutto sembrò andar bene, sennonché la crusca prese fuoco. Stefano allora celiò dicendo:“E adesso dobbiamo chiamare i pompieri!”.
Non terminarono tuttavia gli impedimenti per Stefano. Difatti, cominciato il Noviziato da poco tempo, fu costretto ad interromperlo, perché chiamato alle armi.Era un altro ostacolo al suo processo di formazione per divenire salesiano…Stefano, tuttavia chinò il capo e partì per il servizio militare. Questo contrattempo non eliminò il suo ardente desiderio per la vita religiosa tra i Salesiani sicché pur essendo un soldato, continuò tuttavia la sua vita spirituale e la sua attività apostolica con convinzione, deciso di impegnarsi nell’avventura che aveva scelto: seguire Cristo con lo stile di vita di Don Bosco.
Proprio per questo, continuò il suo legame epistolare con l’Ispettore dei Salesiani e con il Maestro di Noviziato; ed i giorni di libera uscita decise di passarli in una casa salesiana, il Clarisseum. Se riceveva del denaro come salario militare, com’è di regola per i Salesiani, prontamente li dava al Superiore; era il segno di una scelta precisa. Questo tempo di vita militare fu così per lui un tempo di prova come altri momenti di vita che avevano marcato la storia della sua formazione vocazionale: fu, infatti, un cozzare con un ambiente spesso opposto alla dignità dell’uomo e del cristiano, come lui stesso testimonierà. Fu un tempo però che solidificò le decisioni di quel giovane, che voleva seguire Cristo ed essere fedele alla scelta di Dio sopra di tutto: costi quel che costi. Sinceramente non si potrebbe trovare un tempo di discernimento più duro ed esigente di quello da lui provato e affrontato in trincea nel tempo della vita militare.
Visse quei giorni con la nostalgia e il desiderio della Casa salesiana.Scriveva in una lettera all’Ispettore salesiano Janos Antal:“ Mi sforzo di mantenermi buono anche qui, ora e mi astengo da ogni male, deciso a non cadere in nessuna malvagità. Prego per essere presto liberato da questo modo di vivere, facendomi forza per rimanere un figlio fedele di Don Bosco e assolvere le mie promesse fatte all’inizio della mia vita salesiana”.
Ricevuto il congedo definitivo, nel 1939, entrò di nuovo in Noviziato per completarlo sotto la direzione spirituale di Padre Bela Bali; e poté finirlo con la prima professione triennale. Era l’8 settembre 1940.
Da quel giorno, visse un’intensa e filiale devozione a Maria Madre di Dio, devozione che imparò alla scuola della sua mamma e che trova una sua manifestazione assai significativa in quel giorno dell’ 8 settembre, festa della Nascita della Madre di Dio e giorno della sua prima Professione; così scrisse infatti in una lettera indirizzata ai suoi genitori:
“L’otto settembre, con la grazia di Dio e con la protezione della Santa vergine Maria, mi sono deciso di amare e servire Dio. Nella festa della Vergine Madre di Dio ho fatto il mio sposalizio con Gesù; e Gli ho promesso con i tre voti di essere Suo, di non slegarmi mai da Lui e di perseverare con fedeltà accanto a Lui fino alla morte”.Parole che svelano la sua profonda maturità spirituale e che danno la sensazione di mostrare già fin da allora quale sarà la conclusione di quella sua Professione religiosa, che in verità firmerà con il suo sangue(1).
(1) Così scriveva il Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Pasqual Chavez Villanueva, in una lettera alla Superiora generale delle Suore di Maria Ausiliatrice.).
Sandor nella sua attività di salesiano
Destinato dai Superiori per obbedienza alla casa di Budapest Clarisseum, si dedicò, anima e corpo a un triplice incarico: fu tipografo-insegnante nei corsi di tipografia, incaricato del servizio nel Santuario e animatore in Oratorio.
In Ungheria, molto tempo prima, erano state organizzate le prime associazioni dei giovani Operai cattolici (KIOE) esse avevano come protettore San Giovanni Bosco.Fu normale allora che i Salesiani si prendessero generosa cura di organizzarle anche nei loro istituti.Al Clarisseum, Sandor, come laico consacrato, fu la persona più ardente e instancabile nell’organizzare queste associazioni. Il suo gruppo era il migliore e modello agli altri gruppi. Seguendo la spiritualità di Don Bosco, Stefano promuoveva, in quel gruppo, sia il Catechismo, sia le meditazioni religiose, sia le conferenze apologetiche o di argomento sociale, sia le ore di adorazione, le novene, ed anche le gite in forma di pellegrinaggio. Organizzava inoltre attività piacevoli e sportive: il tutto in un clima di sana allegria. I giovani che venivano all’Oratorio s’inserivano con piacere nel gruppo di Stefano e non erano pochi!…E poi…, non si volevano più separare da quel gruppo nel quale c’era quel loro caro amico.
Ma… ecco che Stefano venne di nuovo chiamato alle armi.
Era l’anno 1942 quando fu richiamato ancora una volta al servizio militare. Fu inviato in Russia sul fronte orientale presso il fiume Don: era caporale incaricato del Servizio radiotelegrafico.
Fu allora che ricevette alcune decorazioni per le prestazioni eccezionali portate a compimento e inoltre una medaglia d’argento per il suo eroismo militare.Onorificenze delle quali egli non parlò mai. La fonte di tale notizia, infatti, fu solo il fratello minore ,Jànos, anch’egli militare, con il quale ebbe un incontro sulla sponda del fiume Don.
Il soldato Stefano in trincea.
La trincea era per lui un luogo di apostolato, quasi un Oratorio domenicale, cui si dedicava con entusiasmo alla maniera salesiana, dando anche coraggio ai suoi compagni militari. Voleva bene a ciascun soldato ed era riamato da loro con cordialità. Ogni giorno condivideva il suo cibo con qualcuno di loro. Se occasionalmente uno di loro cadeva sul campo di battaglia, egli si dava d’attorno per raccogliere i suoi documenti, in vista di consegnarli ai suoi parenti; informava quindi i genitori del defunto con amabilità, volendo consolarli. Si preoccupava di scrivere qualcosa su di lui, talora in modo prolisso, quando era opportuno per alleviare la grande sofferenza dei genitori; ma questo faceva con delicatezza…Su quei fogli scriveva gli atti di coraggio ed eroismo del defunto.
Nel 1943, ottenuto il congedo di un mese, fece ritorno all’istituto Clarisseum a Budapest e lì chiese di poter rinnovare i voti.I suoi Superiori salesiani, basandosi sulla sua eccezionale maturità, accettarono la sua domanda e gli proposero di fare i voti perpetui…Stefano si affrettò allora alla casa di formazione Santa Croce per fare gli Esercizi spirituali assieme ai suoi Confratelli che stimava assai, ma non si decise a fare i voti perpetui. Il 16 agosto 1943, infatti, rinnovò i voti di vita consacrata come Salesiano per tre anni. Ritornò quindi in prima linea, al fronte.
Nel 1944 fu di nuovo in riposo a causa di una ferita sul campo di battaglia.(1). Riabilitatosi in salute, ritornò nell’esercito, in autunno.Alla fine dell’anno 1944, la brigata cui lui apparteneva si ritirò verso Occidente, attraversando la regione della Slovacchia. Fu allora che fu fatto prigioniero da parte dell’armata americana e quindi deportato in Germania.Di lì, tornò in Patria nell’anno 1945, era estate.(2)Dopo quell’esperienza militare, Stefano raccontava con le lacrime agli occhi come molti suoi compagni d’arme, padri di famiglia, colpiti, morirono in trincea, accanto a lui. Si meravigliava di se’ dicendo che non riusciva a capire perché il Signore l’avesse salvato dalla morte, e solo proprio lui!“Probabilmente – diceva accennando a un debole sorriso – perché il Signore mi ha riservato per un’altra morte!…”. (3)
(1)Testimonianza di Padre Janos Szoke.(2) Questo affermava Padre Làszlò Adam.(3) Così riferiva Padre Janos Szoke.
Capitolo 2
L’opera di ricostruzione.
1945.
Il mondo e l’ambiente sociale erano ormai cambiati del tutto così inaspettatamente!La guerra aveva prodotto delle conseguenze impreviste e dannose. C’era ovunque distruzione, persone dai volti intristiti, sofferenti, dubbiose; c’era pure mancanza di moralità. La vita doveva esser ripresa, riiniziata, si doveva ormai certamente ricominciare da capo! E così fu che i Salesiani in Ungheria furono costretti a riprendere ancor una volta la loro attività dagli inizi. I loro pensieri erano rivolti con grande fiducia verso Dio Provvidenza e al soccorso di Maria, Madre di Dio e Aiuto dei Cristiani, di cui avevano già sperimentato l’aiuto al tempo dell’assedio delle armate nemiche.
Si diede inizio alla ricostruzione.
Stando così le cose, Sandor si pose con tutte le forze al servizio della ricostruzione materiale e spirituale dei giovani, con il desiderio di riproporre ed attualizzare i valori morali e spirituali nella società decaduta. In particolare si preoccupò dei giovani più poveri radunandoli, educandoli ad essere buoni cristiani e dando loro una formazione professionale in vista del mestiere da svolgere.
Era sì maestro di tipografia, ma anche formatore della persona per la vita.Con la sua pietà e unione con Dio egli arricchiva spiritualmente la sua attività di tipografo e di educatore, suscitando tra quei suoi giovani apprendisti sorpresa, ma anche apprezzamento e rispetto.
In una determinata circostanza non mancò di dimostrare il suo spirito di iniziativa e di coraggio. Un giovane, volendo salire sul tram che passava presso la casa salesiana, sbagliò il passo e cadde sotto il veicolo, che si fermò, ma troppo tardi. Una ruota ferì profondamente il giovane a una coscia. Si formò allora lì un folto gruppo di persone, che volevano rendersi conto di quanto era successo; ma nessuno faceva niente e il povero infelice stava per dissanguarsi. In quel momento, si aprì la porta della casa dei salesiani e Pista”- così chiamavano Stefano con un soprannome – accorse, reggendo sotto il braccio una portantina pieghevole. Posta la giacca per terra, s’infilò sotto il tram e, con prudenza, trasse fuori quel giovane; poi, strinse la coscia sanguinante del malcapitato con la sua cinghia e lo pose sulla barella. In quel momento giungeva l’ambulanza delle urgenze. La gente applaudì con entusiasmo Sandor, che, rosso in volto, era pieno di gioia per aver salvato dalla morte quel giovane ferito.
. Sandor educatore salesiano
Sapeva che l’Oratorio salesiano era nato da un catechismo di Don Bosco e viveva questa realtà impegnandosi nel fare scuola di catechismo. Lo insegnava in maniera concreta, con degli esempi. Completava il suo discorso con i giovani servendosi degli episodi della sua vita militare vissuta in tempo di guerra sul fronte russo. Episodi reali, di cui i giovani non potevano dubitare. Era fermamente convinto che i giovani non avessero bisogno solo di insegnamento professionale per un mestiere, ma anche di formazione spirituale. E i giovani gli si avvicinavano, incantati e rispettosi, attratti dalla sua bontà, anche se non lasciava mai da parte la disciplina sicché anche la sua semplice presenza induceva all’obbedienza ed al rispetto.
Un giorno, un giovane salesiano disse:“ Sono meravigliato di te perché’ il tuo gruppo di giovani è il più disciplinato di tutto l’Istituto”.Ed egli rispose:“Mio caro, se i ragazzi capiscono che tu vuoi loro bene, anche loro te ne vogliono”.
La sua autorevolezza di educatore e insegnante si nutriva al carisma di Don Bosco; il suo stile di approccio nell’Oratorio era pieno di bontà e attenzioni verso i giovani.Era un animatore instancabile: a scuola, nel tempo della pausa tra le lezioni, faceva giocare; abile negli sport, attirava a se’ la simpatia dei giovani.Seguiva abitualmente nella formazione circa sessanta tra giovani e studenti.Il suo esempio favoriva lo spuntare tra essi del desiderio di seguire la vita salesiana.
Stefano anche nel lavoro era esemplare e questo per la precisione, l’accuratezza ma anche per un inconfondibile senso di religiosità, di fede e di carità con il quale lo arricchiva.La formazione, che egli donava, s’ispirava al sistema preventivo salesiano:ragionevolezza, religiosità e affabilità amorevole. Il suo modo di educare con fede profonda, arricchita dalla speranza e dall’amore evidente, gli procurava con il grande ascendente sui giovani anche un notevole successo.
Con questo stile di educatore e di formatore egli continuò la sua opera dopo la guerra in vista sia della ricostruzione materiale dell’ambiente in cui viveva, sia del ricupero dei valori sociali e cristiani nella società, soprattutto tra i giovani.
Proprio per questo scopo, come educatore e formatore a seguito del Buon Pastore, s’impegnò a radunare di nuovo attorno a se’ i giovani, soprattutto quelli conosciuti nel passato.Ma…dove poterli radunare? …Dovunque fosse possibile! all’aria aperta o all’interno di sale sia pure senza finestre e pericolanti: lì organizzava gli incontri settimanali, una serie di lezioni, approfondimenti morali,…
Erano tempi nuovi, vi erano problemi nuovi e si richiedevano metodi nuovi; e quel vero apostolo dei giovani non si trasse indietro.Imparava per proprio conto, annotava, faceva schemi, ricavando le conoscenze da quelli che erano più istruiti di lui. Impastando quelle nozioni con le sue conoscenze e filtrandole con il suo amore alla verità, le faceva proprie; dopodiché’ le insegnava innestandole nell’animo e nella mente dei suoi giovani allievi o amici ascoltatori.Nonostante la propaganda dei comunisti, il numero di quel gruppo cresceva e, tra loro, si era attuato un cuore solo e uno spirito solo.
Se Stefano si occupava dei giovani senza sosta, da vero salesiano, c’è da notare tuttavia che non lo faceva a danno dei suoi doveri di tipografo e di sacrestano.
Il 24 luglio 1946, dopo alcuni giorni di ritiro spirituale, nella letizia del suo cuore di salesiano, Stefano si unì per tutta la vita alla Famiglia di Don Bosco (ai Salesiani), con i voti perpetui.Nella domanda di ammissione ai voti egli scriveva che ”sentiva dentro di se’ gli stessi sentimenti di affetto e di ringraziamento, quali aveva avuto alla sua vestizione di religioso, quando ricevette la medaglia di coadiutore salesiano”.Quella scelta e quei sentimenti si rinnovavano in lui; sicché, “deposto l’uomo vecchio con il suo modo di operare, assumeva la nuova umanità, quella realizzata da Dio nella santità e si rivestiva per sempre di Cristo nella modalità del carisma di Don Bosco”.
In quella circostanza egli s’iscrisse e frequentò i corsi di perfezionamento professionale. In autunno dell’anno 1948 sostenne l’esame d’insegnante tipografo, raggiungendone la qualifica con ottimi risultati.
Nell’insegnamento
Era assai rispettoso verso i suoi colleghi e amava senza limite i suoi apprendisti.Un giorno, un suo allievo, Ferenc Hollai, si ammalò gravemente di tifo. Sandor andò senza indugio all’ospedale di U’jpest, dove il giovane era internato e con grande generosità si offrì a donargli il sangue.Per educare ad una vita esemplare, parlava spesso agli allievi di Don Bosco, di San Domenico Savio, di mamma Margherita.
Stefano, senza dubbio, era assai entusiasta del suo lavoro professionale. Quello che lui riusciva a stampare era realizzato con cura e coscienziosità; tutti i suoi doveri in questo campo erano assolti alla perfezione. La Tipografia Don Bosco, essendo più scuola che luogo di lavoro e di commercio, divenne assai celebre in tutto il paese a causa della perfezione dei suoi prodotti nell’ambito della religione, dell’ascetica e dello svago, ma anche per l’ottima formazione professionale assimilata dagli allievi.Saranno proprio quelli gli allievi, che, dopo il diploma, saranno i preferiti dalle più stimate tipografie della città e dello stato. Appare chiaro perciò il motivo per cui, dopo il collasso del 1945, la tipografia dei salesiani fu oggetto di maggiore ostilità che non le altre tipografie. E fu allora che l’attività cominciò a diminuire sempre più, di mese in mese.
. Verso il totale sacrificio di se’ stesso.
Seguendo l’esempio di Don Bosco, egli era solito recarsi spesso nei quartieri più poveri della città per incontrarsi con i giovani di strada e per dar loro aiuto; ed essi gli si facevano amici. Questo suo impegno s’ingrandì dopo la guerra, quando cominciò a cercare anche quelli nascosti tra le macerie dei palazzi e nei vagoni guasti lungo le linee ferroviarie di Ràkospalota-U’jpest. Li convinceva ad accompagnarlo all’Oratorio per giocare e per imparare un lavoro dignitoso. Questo gli permise, un po’ alla volta, di venire a contatto personale con molti giovani, che diventavano apprendisti e allievi fedeli.Era divento inoltre socio di un movimento giovanile simile all’Azione Cattolica, che si intitolava KIOE, cioè Associazione nazionale di apprendisti lavoratori cattolici. Col passare del tempo egli divenne l’animo e la guida di quell’associazione nella casa salesiana, dove si era formato un gruppo di quaranta giovani associati. Quel gruppo si radunava ogni settimana: al giovedì e alla domenica, giorno nel quale si celebrava anche la Santa Messa. In quegli incontri si parlava di argomenti religiosi, si organizzavano conferenze, si facevano attività diverse, escursioni e celebrazioni religiose. Non si trattava di politica.
Quando il Governo ungherese eliminò quell’associazione ( 2 novembre 1946), la si rifondò dandole un nome nuovo ed intrecciandola con l’attività parrocchiale, cosa che allora era ancora possibile.
Sandor con i suoi allievi e con alcuni giovani, fattisi amici, continuò gli incontri in appartamenti privati. Al Clarisseum era possibile far quest’apostolato, perché’ si avvalevano della concessione ottenuta dal cardinal Mindszenty; il Cardinale concesse con il permesso del Governo che fossero considerate parrocchie tutte le chiese e le cappelle semi-pubbliche degli ordini e congregazioni religiose.Sandor era sacrestano della cappella del Clarisseum; gli era perciò consentito di radunare i giovani per fare il catechismo. Approfittando di questo permesso, egli si teneva in contatto anche con i giovani apprendisti e lavoratori che erano in servizio militare nella Polizia politica e vestivano la divisa blu.
Nell’anno 1950, quando gli ordini religiosi furono proibiti e sciolti, dopo aver affittato una camera in un appartamento privato, nei pressi della casa salesiana, rimase in contatto con i giovani, come faceva prima ed essi si recavano in quella camera per incontrarlo. Stefano s’impegnava ad insegnar loro le materie scientifiche e a far opera di formazione, occupando nello studio anche parte delle ore notturne.Questo lavoro era pericoloso, ma Sandor era convinto che quello fosse il suo compito di cristiano e ne conosceva il rischio.
Le loro conversazioni, di allora, vertevano su temi di meditazione, sul catechismo attraverso spiegazioni bibliche, raramente i loro discorsi si fermavano su argomento politico. Parlavano della vita cristiana, dei valori da realizzare nel quotidiano, dei sacramenti, sulla scelta del marito o della moglie conformemente alla dottrina cristiana, della spiritualità matrimoniale.Il gruppo non era grande: circa otto o dieci persone. Ciascuno poteva esprimere liberamente il suo pensiero e, chi voleva, poteva dire anche i suoi problemi per ricevere un consiglio o un incoraggiamento.Stavano attenti a non far chiasso, a parlare sottovoce, a non fare rumore, affinché’ non dessero motivo a qualcuno di accorgersi della loro presenza colà.Quegli incontri arricchivano moralmente e spiritualmente i partecipanti, i quali si conoscevano bene ed erano amici tra di loro. Lo scopo di quegli incontri era di rinforzare la fede rendendola migliore.Si erano preparati per un eventuale controllo della polizia, ponendosi d’accordo di dichiarare che i loro incontri si facevano per festeggiare il giorno del compleanno o quello del loro onomastico.
Ma fin dal 1949, quando in Ungheria, sotto la dittatura di Màtyàs Ràkoşi, si cominciò a sequestrare i beni ecclesiastici, iniziarono anche le persecuzioni contro le comunità religiose e le scuole cattoliche; fu allora che le persone consacrate si trovarono prive di tutto: casa, lavoro, comunità’. Molti furono costretti alla clandestinità, dovendosi accontentare a fare di tutto: spazzini, contadini, lavoratori a giornata, aiutanti, facchini, operai,…Fu chiaro, allora, con immediatezza che la tendenza del regime comunista era di opporsi alla religione e al cattolicesimo.Si era deciso di sottomettere la Chiesa cattolica ungherese al potere statale per distruggerla gradualmente fino alla sua sparizione totale.L’inizio del procedimento era il sequestro dei beni, cui seguiva lo scioglimento delle organizzazioni e associazioni giovanili, sia dei piccoli che dei grandi; poi la consegna di ogni scuola allo stato e infine la loro nazionalizzazione.Sandor, in quella situazione, si sentì in dovere di salvare le produzioni realizzate. Ed anche in questo rischioso impegno quel buon religioso non economizzò né il tempo, né la fatica, dimentico della propria persona.Nel mese di febbraio del 1950, sorpreso in questo suo lavoro, dovette fuggire e rifugiarsi nella casa del Noviziato.
Capitolo 3
Sandor al lavoro nel periodo della persecuzione
Ed ecco che alla fine di autunno del 1950 furono sciolti quasi tutti gli ordini e le congregazioni religiose. Nello stesso tempo cominciò una funesta persecuzione contro tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica e contro i cittadini contrari al nuovo regime comunista. Stefano fu costretto a nascondersi, abbandonando la tipografia.Com’era capitato agli altri religiosi, anche lui rimase solo, si può dire “sulla strada”. Ma di fronte a quella nuova situazione, il giovane salesiano non si perse di coraggio. Reagì, non al modo della mentalità del mondo, ma piuttosto secondo lo spirito del cristiano: con docilità allo Spirito Santo affrontò con fortezza la battaglia che si rivelò decisiva per la sua vita.Prese la decisione di continuare la sua opera di educatore, seguendo Don Bosco, contro le circostanze sfavorevoli.
Ora il suo impegno consisteva nell’ insegnare il Catechismo a casa sua o in un altro luogo adatto. Il regime comunista, tuttavia, considerava l’insegnamento religioso come una propaganda politica e intendeva che l’educazione dei giovani fosse solo prerogativa dello stato. Ne conseguì che alcuni religiosi si ritirarono dal loro compito di formazione dei giovani e di educatori; Stefano invece e altre persone cercarono di continuare il loro incarico per la salvezza delle anime; speravano che, dopo non molto tempo, il regime comunista potesse perdere il suo potere.
Per mettere le spalle al sicuro e mantenersi e continuare il suo apostolato, grazie alle sue capacità di tipografo, trovò lavoro in una tipografia della sua città natale, Szolnok.
La sua abitazione lì era la casa parrocchiale del reverendo Jozsef Mezòfény e faceva il sacrestano. Nel 1951 preparò così bene chi avrebbe ricevuto la Cresima e addobbò così bene la Chiesa che il Vescovo lo lodò con parole di speciale apprezzamento.
In seguito, l’autorità statale scelse Sandor per un istituto di educazione dello stato.In realtà, il Partito comunista raccoglieva bambini e giovani per educarli nelle scuole dirette da professori competenti e scelti dal Partito stesso. Stefano, dal canto suo, svolgeva molto bene il suo compito, ma non tradiva i valori cristiani e cercava di educare i giovani e di formarli secondo i principi della religione cristiana, per questo usava diffondere libri di letteratura adatti, organizzava rappresentazioni teatrali, raduni, conversava con i giovani e li accoglieva in incontri e colloqui personali.La sua attività fu apprezzata ed ebbe un riconoscimento ufficiale da parte delle autorità, che gli conferirono il titolo di “educatore del popolo”.
In quel tempo la polizia segreta (AVO) cercò di accrescere il suo personale, reclutando allievi tra gli orfani e gli operai, ritenendoli persone maggiormente degne di fiducia per il loro stesso sistema poliziesco. Quelli maggiormente dotati furono addestrati per fare la guardia di protezione ai capi del partito.
Alcuni giovani che seguivano il gruppo di formazione di Stefano entrarono tra queste reclute, conservando tuttavia la loro amicizia con i loro precedenti insegnanti salesiani. Ci furono anzi tra essi alcuni graduati di polizia che riuscirono a orientare alcuni amici alla fede cristiana.Nel frattempo, però, l’esistenza di un laico, che si occupava dell’educazione e formazione dei giovani e che era un laico-religioso, si venne a sapere dalle autorità comuniste. Stefano Sandor dovette allora premunirsi per non subire l’arresto. Nascostosi per alcuni mesi, scambiato il nome con uno pseudonimo, riuscì a trovar lavoro in una fabbrica di detersivi (Persil) nella capitale.A Budapest si ingaggiò in quella fabbrica di detergenti come operaio giornaliero con il nome Ştefan Kiss; ivi lavorò dal marzo 1951 a luglio 1952, pur continuando coraggiosamente la sua opera di apostolato tra i giovani senza paura anche se sapeva che quell’opera era strettamente vietata.
Purtroppo i giovani del suo gruppo commisero un errore.
Sulla strada principale di U’jpest, in quel tempo, avevano aperto una nuova osteria con il nome “Osteria dell’inferno” e nei suoi paraggi avevano posto un cartello pubblicitario: “Entrate nell’inferno”. Quei giovani avevano preso quell’iscrizione come una presa in giro della religione. La mattina seguente essi coprirono la scritta di quel cartello con del catrame. I proprietari dell’osteria sporsero denuncia alla polizia AVO. I cani addestrati condussero i poliziotti all’istituto Clarisseum. Lì arrestarono una ragazza di quindici anni di nome Hajnal Hegedùs, allieva del ginnasio, che stava recandosi lì. Sottoposta a tortura, le strapparono dalla bocca i nomi degli altri membri del gruppo e del salesiano loro animatore.Tra le persone iscritte al partito, c’erano però persone di buon senso, esse, quando stava per essere spiccato l’ordine di cattura di Sandor, glielo comunicarono in antecedenza, rendendogli noto che si conoscevano tutte le sue attività clandestine.
Egli allora si affrettò ad andare dal suo superiore, l’ispettore salesiano don Làszlo’ Ădàm, e gli confidò la situazione. Questi lo consigliò di andarsene dall’Ungheria. Per questo scopo, con l’aiuto di don Kăroly Szitkez si preparò il passaporto e una lettera per i Salesiani dell’Austria. L’ispettore trovò anche una persona esperta che avrebbe condotto Sandor, come clandestino, attraverso il confine, qualora non avesse potuto ricevere il passaporto.
Fu allora che Stefano si trovò di fronte ad una decisione grave. Cominciò a chiedersi: “I giovani non devono forse essere formati? … Devo lasciare l’educazione dei giovani fuggendo all’estero? … Che avrebbe fatto Don Bosco? … Avrebbe abbandonato l’Ungheria? … Si può permettere alle idee del comunismo di dominare in Ungheria senza far nulla per la società e soprattutto per i giovani?”.E prese una decisione:“Non voglio essere un traditore della fede e neppure un dissidente che si dà alla fuga!…la mia vita è per i giovani.”
Presa coscienza della sua decisione come definitiva, scrisse un messaggio all’ispettore salesiano don Lăzlo’ Ădăm e lo consegnò al reverendo Jòzsef Kavin.Dichiarava che egli preferiva affrontare il martirio che abbandonare i giovani ungheresi.Rifiutò la possibilità datagli di fuggire e restituì i denari e i documenti ricevuti.
E reagì, quando Klàra Szàntò gli propose di lasciare da parte la sua attività con i giovani, nascondendosi. Klàra asseriva che non c’era scopo di diventare tutti martiri, poiché diceva: “Se tutti diventiamo martiri, chi rimarrà poi per ricominciare ancora l’educazione dei giovani quando sarà terminato il pericolo comunista?”Egli allora la guardò con gli occhi spalancati e disapprovando quell’opinione affermò che, proprio per la situazione dei giovani in quel grave momento storico, non poteva abbandonare la gioventù ungherese. Egli voleva aiutare i giovani ungheresi a conservare i valori della fede cristiana.E Stefano Sandor, abbandonandosi nelle mani di Dio, avanzò su quella linea: era la sua scelta, fatta con ferma decisione.
• Verso il Golgota.
– A Budapest.Stefan rimase a Budapest e scelse di abitare nell’appartamento di un salesiano ancora in formazione, studente di teologia: Tibor Daniel. Quel giovane salesiano lo accolse con gioia, certo di potergli dare un aiuto sufficientemente sicuro. Tuttavia, per essere più tranquillo gli fece assumere un nome nuovo, uno pseudonimo. Sandor si fece crescere i baffi e cominciò a portare sempre un paio di occhiali con lenti scure da sole; cambiò anche modo di vestire, cosicché il suo aspetto non dava modo di riconoscerlo facilmente.
Riuscì ad avere un documento con quel nome nuovo. Richiesto di essere padrino di un Battesimo, nel registro dei Battesimi firmò proprio con quel nome, che ormai portava.In quell’abitazione Stefano s’incontrava regolarmente con i suoi allievi e i loro amici, prendendosi cura dei loro problemi spirituali e educativi.Nello stesso tempo, li preparava sia a difendersi dalla propaganda anticlericale del regime comunista sia ad aiutare anche altri a restar fermi nella fede.Di comune accordo organizzava adorazioni mensili, e, di domenica e nelle feste, pellegrinaggi a santuari che si trovavano nei pressi di Budapest. Organizzava anche esercizi spirituali, ordinariamente di tre giorni. In tutto questo non si trattava di questioni o tendenze politiche; ma si approfondivano le conoscenze culturali e religiose ; tuttavia quella era veramente la via che lo avrebbe condotto al Golgota. – Il vicino lo tradisce…:
Qualcuno sapeva qualcosa…
Ci fu un giorno nel quale Stefano fu arrestato e imprigionato.La padrona della casa, dove Stefano e Tibor abitavano, era una donna inclinata a curiosare. Si accorse che Stefano riceveva molte lettere. Era cosa normale per lui, che aveva sei gruppi di giovani con i quali era a contatto, ma non lo era per quella donna. La padrona, quando riceveva la posta si permetteva di aprire le lettere e , dato che il suo marito era della Polizia politica, le consegnava a lui, che ne trasmetteva il contenuto ai suoi superiori. Nella corrispondenza non c’era nulla che riguardasse la politica e in modo assoluto nulla che avesse legame con cospirazione politica. Sandor riceveva solamente domande circa la vita spirituale, che i giovani volevano rendere migliore ed egli rispondeva a quelle richieste; ma, per i comunisti, quella forma di apostolato era fare politica opposta allo stato.Il sistema di spionaggio dei Comunisti era ben organizzato e nulla sfuggiva dell’attività di quei due salesiani, cosicché, quando la Polizia credette di aver prove sufficienti per accusarli, prese la decisione di mettere quei due agli arresti.
Capitolo 4
L’arresto e il martirio.
Al mattino Stefano fu scoperto mentre cercava di nascondere e porre in salvo alcune apparecchiature per la stampa; fu arrestato e condotto in carcere. Al pomeriggio fu la volta di Tibor Daniel, che fu arrestato nella sua camera mentre stava entrando e fu accolto con uno schiaffo solenne. Tibor Daniel morira’ nel 1956 dopo la scarcerazione a causa delle torture che subì in carcere.
Il motivo dell’arresto di Sandor fu l’accusa di complotto contro lo stato, poiché’ radunava giovani e suoi amici impartendo loro un’educazione conforme al pensiero cristiano.
Dopo l’arresto, Sandor Stefano non fu più visto dai suoi confratelli salesiani se non di fronte al tribunale giudicante nel gruppo degli imputati reclusi. Pregava. Una volta chiese perdono ai confratelli, forse pensava di esser stato loro causa di qualche sofferenza.
La sua causa fu iniziata e condotta avanti al Tribunale militare di Budapest assieme ad altre sedici persone. Tra gli accusati si trovavano anche quattro salesiani: don László Ádám ispettore dei Salesiani, don Károly Szitkey direttore della tipografia, don Aladár Varga economo e Tibor Dániel studente. Erano accusati come cospiratori che si erano organizzati per distruggere il regime comunista, poiché, certi nella vittoria degli Americani, avrebbero voluto impadronirsi del potere.Tutti e cinque quei salesiani furono giudicati dal tribunale comunista come cittadini e laici, perché i responsabili dell’arresto non volevano lasciar intendere, in special modo nei confronti di Sandor Stefano, che il regime perseguitasse la Chiesa, il che sarebbe stato come farne dei martiri.
Secondo il sistema sperimentato da un certo tempo, Sandor fu sottoposto a interrogatori al di sopra delle forze umane, a torture spaventose ed a tipici lavaggi del cervello fino a fargli riconoscere che le accuse false e inconcepibili indirizzate contro di lui erano corrispondenti al vero. Quelle accuse si riferivano all’aver partecipato a raduni ostili al sistema “democratico”, ad aver tradito la patria, ad aver svolto attività contro lo stato, in particolare ad attività di apostolato considerate delitti, tutto ciò degno di pena capitale.
· Vita in prigione
Il carcere nel quale dimorò Stefano fu il Tribunale Militare di Budapest, in via Fò, ma non si conosce con certezza il luogo di detenzione dal 30 ottobre 1952 fino all’otto giugno 1953; tuttavia è probabile che si sia trovato sempre nello stesso Tribunale militare, dove fu incarcerato il 28 luglio 1952.Gli avvenimenti successigli si conoscono solamente dalle testimonianze degli arrestati sopravvissuti, che furono rilasciati liberi e furono in cella insieme con lui.
Si è saputo che i detenuti abitavano in celle molto strette con trenta o quaranta persone per cella. Frammiste ai prigionieri vi erano alcune persone infiltrate per sottrarre ai carcerati notizie segrete, che poi sarebbero state usate contro di loro.Per questo motivo i carcerati parlavano tra loro raramente, sottovoce, con gesti; dovevano esser vigili persino quando pregavano: tutti erano strettamente sorvegliati.
. Il suo olocausto
Sandor non si perse di coraggio in quel luogo, ma si fece apostolo. In modo speciale chi era condannato a morte trovava in lui chi lo confortasse spiritualmente e lo consolasse umanamente.Il cibo che i carcerati ricevevano era del tutto insufficiente ma Stefano spesso offriva il suo cibo a chi era ammalato o bisognoso di sostegno fisico. Il gesto di dare il proprio pane agli altri era un atto molto difficile, perché la quantità giornaliera di cibo era molto piccola e i prigionieri dimagrivano di giorno in giorno. Sandor mostrava allora di avere un grande amore sostenuto dalla sua fede. Inoltre, nonostante l’inquietudine interiore che gli veniva dalla certezza di dover essere ucciso, egli risollevava continuamente la speranza nei suoi compagni di detenzione. Questo faceva con parole piene di fede in Cristo e con la sua preghiera, in special modo con la recita quotidiana del Rosario, fatta con i suoi compagni di prigionia. Pregavano numerando le Ave Maria sulle dita, per non esser scoperti dai carcerieri, come racconteranno quelli sopravvissuti.
E la Madre del Signore sosteneva questo suo figlio, che trovava in Lei protezione e consolazione per se’ e per gli altri.
János Pokorni, compagno di prigionia poi liberato, parlando di lui diceva: “Ci incontrammo l’ultima volta il 12 marzo 1953, nel giorno nel quale Sandor fu condannato dal Tribunale Supremo Militare. Mentre, in catene, era condotto altrove. Sandor mi guardò e volse il suo sguardo anche sugli altri, come per dare l’ultimo addio… Fu un momento indescrivibile da non dimenticare!”.Un altro compagno di prigionia fu padre Jòzsef Szabò; egli parlò molte volte con Sandor. Dopo la sua liberazione, raccontò che furono assieme nella prigione militare di Budapest nella cella 32, nella sezione detta “alto tradimento”. Padre Jòzsef asserì che seppe che Stefano era salesiano, ma diceva che non lo informò mai sulla spiritualità salesiana, perché era assai pericoloso parlare di argomenti religiosi, anche per coloro che solo avessero ascoltato. Disse pure che, dopo quel “processo- farsa” e la condanna, Stefano fu condotto in cella d’isolamento per passarvi gli ultimi giorni della sua vita. Narrò che, qualche giorno prima dell’esecuzione capitale, Stefano chiese l’assoluzione sacramentale.Il processo terminò il 23 maggio 1953 con la condanna di sedici persone: undici erano giovani e cinque educatori. Oltre Sandor, cui fu confermata la condanna a morte, furono condannati alla pena capitale altri tre .Si conserva un documento ufficiale in data 25 maggio 1953 con la dichiarazione, che certifica lo svolgimento del processo, la sentenza del Tribunale Militare Supremo e la condanna di Stefano ( Istvan ) Sandor all’impiccagione.
La sentenza e il modo con il quale fu condotto il processo mostrano con evidenza che l’unico motivo della pena di morte per Stefano Sandor fu l’opera di apostolato, la sua religiosità, la sua fede.Quando Sandor seppe della sua condanna – fu la testimonianza dei suoi compagni sopravvissuti alla prigionia – egli conservò la pace e seppe anche sostenere la fede degli altri.L’esecuzione avvenne il giorno 8 giugno 1953, alle ore 21.10. Stefano Sandor “in quell’ora” affidava il suo spirito al Padre celeste, abbandonandosi in Gesù Salvatore: così egli fece la sua professione di fede e di fedeltà a Cristo Gesù e mostrò il suo amore per la patria e per i giovani ai quali si era donato fino alla fine.…Don Bosco accompagnò Sandor Stefano in Paradiso.
. Verso la gloria degli altari.
Dopo la dittatura del comunismo stalinista, il Governo ungherese ha riconosciuto l’ingiustizia imposta a Sandor Stefano e ai suoi compagni e ha dichiarato, con la legge parlamentare XXVI / 1990, l’annullamento delle accuse e della sentenza di condanna del processo ingiusto fatto contro Sandor Stefano e i suoi compagni e ha chiesto perdono.
La caratteristica predominante nel sacrificio di Sandor nel tempo della prova, fu la fede incrollabile e la volontà chiara di accettare il mistero della Croce e del martirio, per amore di Gesù e del Vangelo.Il suo desiderio di testimoniare la fede fino all’ultimo, per il bene dei giovani e della sua patria, si scorge con evidenza nella sua decisione di non abbandonare né i suoi giovani, né la sua terra. Inoltre fu innegabile e costatabile l’accettazione ferma e voluta del martirio, l’abbandono pieno di fiducia in Dio e nella sua Madre Maria, verso la quale egli indirizzò la sua intensa preghiera nel tempo della detenzione. La sua preghiera si esprimeva quotidianamente nella recita del Santo Rosario, nella pratica della Via Crucis e nel desiderio profondo di offrirsi in riscatto per i suoi giovani.I documenti degli interrogatori mostrano la sua intenzione palese di difendere la fede cristiana contro l’ateismo. Proprio per questa coerente e coraggiosa professione di fede, Stefano era cosciente della sua possibile esecuzione. E, di fatto, egli fu condannato a morte per l’attività apostolica svolta verso i giovani. La sua esecuzione svela senza dubbi la volontà del Comunismo di distruggere la fede e la Chiesa di Gesù Cristo in quel Paese, con speciale chiarezza nel periodo di Matzas Rakosi(1950-1953).
. Conclusione
Nell’itinerario della vita di Stefano Sandor appare un crescendo progressivo della sua fede. Dalla fanciullezza alla giovinezza fino alla sua età matura Sandor Stefano ha percorso un cammino di maturazione di sé fino alla santità piena, in virtù della Grazia divina.Un cammino che divenne deciso e fermo con la sua Professione religiosa nella Congregazione salesiana, in sintonia con il carisma di Don Bosco.La sua vita fu ricca di amore verso i giovani e generosa nel cercare la salvezza delle anime. L’esempio e lo slancio nella pratica della vita consacrata raggiunsero la perfezione dell’eroismo. Lo stesso periodo di vita militare durante la guerra non sminuì per nulla l’integrità del suo comportamento morale di religioso salesiano. La fede esemplare, profonda e solida; la preghiera continua; il donarsi nell’apostolato, nel lavoro sacrificato ed esatto; l’amore fedele e incondizionato verso Dio, verso il prossimo, verso la Patria e in modo speciale verso i giovani; la fiducia in Gesù e in Maria, Madre di Dio, e la speranza cristiana, … questa fu la base spirituale e morale sulla quale Stefano Sandor ha fondato la sua risposta positiva e totale al martirio, senza nessun ripensamento o dubbio.
La Chiesa Cattolica lo dichiarò Beato e Martire sabato19 ottobre 2013 a Budapest, in Ungheria.
Riguardo al Beato Stefano Sandor SDB, così si esprimeva il Cardinale Angelo Amato Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, pur egli Salesiano:
“Il Beato Martire Stefano lascia a noi, Confratelli Salesiani, un triplice messaggio. Prima di tutto un annuncio di fedeltà totale, fino all’ultimo, alla vocazione ricevuta dal Signore; poi un messaggio di dedizione generosa alla missione di educare i giovani in linea con lo spirito evangelico; in terzo luogo, un incentivo forte ad essere testimoni di bontà e di fede in Gesù, seguendo con speranza e amore la sua Parola”…” Il Beato Stefano Sandor ci affida così come profezia l’importanza dell’educare i giovani, lottando contro una cultura che spesso combatte i valori della vita, della carità, dell’impegno generoso, del perdono, della fraternita”.
*
Merita ricordare infine il racconto di Klàra Szàntò, che conobbe il Beato Stefano.“ Due giorni prima della sua morte, ho avuto una visione. Ho viso Stefano in un prato stupendo ricco di fiori. Il suo aspetto era sereno e il volto straordinariamente bello, luminoso e sorridente. Quando cercai di avvicinarmi a lui, egli mi fece un segno negativo volendomi indicare di non avvicinarmi, dicendo: “ Klara, per ora tu non puoi venire qui!”.
Ora il beato Sandor Istvan (Stefano) martire è per davvero in Paradiso!
Preghiera al Beato Stefano Sandor
O Dio Onnipotente ed eterno, chehai dato al beato martire Stefanola grazia di offrire la vita per il bene dei giovani,affrontando con fede prove e persecuzioni,concedi anche a noi, per sua intercessione,di operare sempre al servizio della verità,per far conoscere a tutti il Vangelo della gioia.Per il nostro Signor Gesù Cristo,tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con tenell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
BibliografiaD. Pierluigi Cameroni, Stefano Sandor. Martire del Vangelo della Gioia, Ed. Don Bosco Kiadò, Budapest, 2013,pp 200.
D. Pierluigi Cameroni, Come Stelle nel cielo, figure di santità in compagnia di Don Bosco, Ed Velar, Bergamo, 2015, pp.173-176.